Paolo Giorgi
Arturo Savini (Boretto, 1880 – Reggio Emilia, 1966) è uno dei tanti civili della Bassa Reggiana la cui vita venne cambiata e stravolta in maniera radicale dalla Grande Guerra.
Fin da bambino Savini, dotato di un orecchio eccezionale, aveva mostrato grande passione per la musica, imparando da autodidatta a suonare la chitarra ed esibendosi spesso con l’amico mandolinista Marino Marani. Grande appassionato di musica classica, ascoltava assiduamente i programmi radiofonici e fu nel 1914 tra i promotori della costruzione del Teatro comunale di Boretto, destinato ad accogliere negli anni numerosi spettacoli di prosa, musica strumentale, lirica e varie manifestazioni culturali.
Partito per la guerra il 25 aprile 1916 ed arruolato nel XVI Reggimento dell’Esercito Italiano, venne mandato di stanza tra il lago di Ledro e il lago di Garda, e assegnato all’Ufficio Topografico, con il compito di effettuare i rilievi e le misurazioni necessari agli spostamenti degli artiglieri.
Congedato definitivamente il 30 dicembre 1918, Savini rientra a Boretto accolto dalla moglie Merope e dalla numerosa prole, e decide di scrivere una cronaca della sua esperienza di guerra, documento che rimarrà in forma manoscritta presso gli archivi della famiglia.
La narrazione degli eventi è succinta, spesso anche senza riferimenti a date o luoghi precisi, perché lo scopo di Savini è, come dichiara nella pagina introduttiva della cronaca, di «fornire un ricordo» della vita militare durante la «Guerra Eterna». In diversi punti del diario emerge la passione per la musica di Savini, che era un ottimo chitarrista:
Col tempo mi avvicinarono i diversi artiglieri del 16°. Tra questi eravi un certo Righi di Mantova, ottimo suonatore di armonica, che informato che io sapevo suonare la chitarra, subito mi sì trovò l’istrumento e si cominciò a passare il tempo.
[…]
Inutile dire che per me la musica è una vera debolezza, unica cosa che per qualche istante mi faceva dimentare i molteplici pensieri. Mi divertii con questo espediente, e più che altro, divertii immensamente tutti gli amici del 16°, che passavano ottime ed insolite ore in quei paraggi.
Nell’ultima pagina della sua cronaca, Savini introduce la figura di Paganini, violinista (nomen omen), con il quale inizierà un’amicizia durata poi tutta una vita:
Passai così qualche mese abbastanza bene sia per la promozione a Cap. Maggiore, come per l’inaspettato arrivo in questa cittadina, dopo il disastro Caporetto, del futuro mio carissimo amico Paganini di Rimini, ottimo prof. di violino, che mi procurò molte ore di svago necessarie al mio continuo tormento per la mia famiglia.
Lungi dall’essere soltanto una «vera debolezza», la musica fu anzi per Savini uno degli sproni più forti che lo sostennero durante la lotta al fronte, secondo solo al desiderio di tornare a casa per riabbracciare l’amata famiglia, da lui considerata sopra ogni cosa, come emerge fin dall’incipit stesso del racconto:
Alla mia Merope, ai miei cari figlioli dedico questi brevi e succinti stralci sulla mia vita militare dsurante la “Guerra Eterna”. Essi solo sanno per quali sentimenti di affetto io sia spinto a loro; essi solo sanno apprezzare l’immenso dolore provato per la lunga separazione della vita sacra e comune di famiglia in questo periodo; ad essi solo sono trasportato da quell’ardore che non ha limiti, poiché al di sopra della patria e della società c’è la mia famiglia.
La cronaca di Arturo Savini, apparentemente scarna e fatta di semplici aneddoti, assurge dunque così allo stato di grande testimonianza di profonda umanità in tempi difficili.

*Si ringrazia Chiara Panizzi, erede di Arturo Savini, per la preziosa collaborazione e per il permesso alla pubblicazione delle notizie e dei materiali relativi a Savini su queste pagine. Il diario completo è stato donato dalla famiglia ad Istoreco di Reggio Emilia, che ne sta curando l’edizione e trascrizione integrale.